Sono trascorsi 37 anni da quel mattino d’autunno e ancora permangono tante domande e poche risposte. Troppe cose non tornano nella strage della Caserma dei Carabinieri di Bagnara di Romagna. Cosa dicono le cronache dell’epoca.⤵️



I FATTI


Mercoledì 16 novembre 1988. Verso le 8:00 Antonio Mantella e Daniele Fabbri hanno preso servizio davanti alla locale sede del Credito Romagnolo, in piazza della Repubblica. Li vede il Sindaco che non nota niente di strano.

Mantella e Fabbri dovevano rimanere di guardia alla banca fino alle 13:00. Si accerta che alle 12:00 ricevono una chiamata del comandante Chianese che dice loro di rientrare, ordine di cui non si conoscerà mai la motivazione. Mentre ritornano si fermano per fare un po’ di spesa, chiacchierando con la panettiera e col vigile urbano. Parlano di calcio, Mantella commenta ironicamente la difficile situazione del Bologna e del Cesena a rischio retrocessione.

Si dimostrano così sereni e tranquilli, anche se hanno ben presente la prossima riunione. Due operai dell’Azienda Rifiuti di Imola si rivolgono a loro per denunciare un piccolo furto: qualcuno ha forzato il loro furgone per rubare due tute da lavoro.I due militari consigliano ai due di rivolgersi per la denuncia alla stazione di Mordano, poco distante, dicendo «Noi abbiamo da fare, ci ha chiamati il comandante».

TUTTI IN CASERMA

Ma verso le 12.20 tutti e cinque i Carabinieri in servizio nel paese si trovano all’interno della Caserma. L’edificio è una palazzina di due piani in pietravista, ubicato in Viale Garibaldi, una strada molto trafficata che collega Imola e Lugo. All’interno dell’ufficio del Brigadiere Luigi Chianese, pochi istanti prima della mattanza, si trova forse Angelo Quaglia, che doveva preparare il pranzo. Invece è sceso, forse di fretta, portandosi con se uno straccio da cucina. Assieme a loro c’è anche Paolo Camesasca, il piantone. Forse, il carabiniere scelto Antonio Mantella sta rientrando in quel momento assieme a Fabbri, che era con lui nel pattugliamento. Mantella sente o vede qualcosa ed inizia a sparare prima di entrare nell’ufficio del Brigadiere Chianese: verranno infatti ritrovati diversi bossoli lungo il corridoio. Poi, sempre il Mantella, discende nell’ufficio e conclude una prima sventagliata per un totale di 32 colpi. Di questi 32 proiettili quasi tutti vanno a segno. Le scalfitture sulle pareti sarebbero solo dei proiettili di rimbalzo. I quattro carabinieri sono stati tutti uccisi. La strage si è appena compiuta.

Una stranezza: Mantella infierisce sui corpi, estraendo la Beretta calibro 9 dalla sua fondina e accanendosi con dei colpi ravvicinati ai suoi commilitoni. Poi, sempre secondo le ricostruzioni pubblicate, Mantella, che ancora non pensa minimamente a togliersi la vita, impugna altre due mitragliette. Queste due armi si trovavano nell’armeria, che però era chiusa a chiave. Dunque, il Carabiniere scelto deve aver frugato nelle tasche del collega Camesasca, che aveva le chiavi. Seconda stranezza: intravede qualcuno in strada e inizia a sparare all’esterno. Uno dei colpi finisce sull’auto del postino, che è parcheggiata all’esterno. SI contano così 12 colpi contro i vetri, all’altezza di un 1 metro e 60 cm dal pavimento.

Ma in quella direzione non c’è nessuna delle sue vittime. Secondo la balistica, il militare per centrare la 126 del portalettere, sarebbe dovuto salire sul tavolo o sulla sedia. In quel momento, la moglie del Brigadiere Chianese scappa urlando. La vedova del Comandante di Caserma viveva col marito in uno degli appartamenti dell’edificio. Era forse a lei che Mantella voleva sparare? La signora Lucia riesce a rifugiarsi da un vicino di casa. Poco dopo arriva il medico. La donna sostiene di essere stata colpita da qualcosa di rovente. Il medico conferma. La vedova Chianese era stata probabilmente raggiunta da un colpo di striscio.


Nell’ufficio di Chianese i postumi di una mattanza inspiegabile. L’agente Quaglia è steso bocconi con 28 colpi alla schiena che lo hanno praticamente segato in due, in aggiunta anche un colpo alla nuca. Chianese ha sei proiettili nel braccio e due in bocca, proprio come in un’esecuzione mafiosa. Camesasca, capelli biondi, nel volto è una maschera di sangue. Antonio Mantella, alla fine, si toglie la vita. Si disse e si crede che l’uomo si sparò pochi istanti dopo il “raptus”: invece, a detta di alcuni testimoni, sarebbero trascorsi ben 7-8 minuti dal colpo finale che seguì le raffiche.

Si accerta che sono stati esplosi 96 colpi di mitra e 15 di pistola, 111 in tutto. Dalle prime indagini, emerge che Mantella avrebbe usato tre mitragliette M12 scaricando i caricatori contro Chianese, Fabbri e Camesasca. Prima una sventagliata verso l’alto e poi un’altra verso il basso. Poi si scaglia contro Quaglia. Prende quindi la sua pistola e spara quindici colpi al colleghi. Infine metterebbe i mitra e la pistola sulla scrivania del comandante e afferrerebbe la pistola di Camesasca per spararsi dato che la sua si è scaricata.

Alla strage riesce a scampare solo il carabiniere scelto Alessandro Trombin, 25 anni, tre di servizio a Bagnara. Quel giorno era in licenza e si trovava nel paese natale, Gavello (Rovigo). Appena dopo l’identificazione delle vittime, viene contattato e richiamato a Bagnara dal comandante della stazione di Cerignano.

LE PISTE

L’inchiesta sulla morte dei cinque carabinieri verrà derubricata come il raptus di uno dei cinque, che sparò agli altri quattro per poi togliersi la vita. Ci sono però ancora dei risvolti oscuri attorno a questa tragedia. Come ad esempio le cause che portarono uno dei quattro commilitoni a compiere l’azione omicida. Negli anni sono state avanzate le piste più disparate circa il movente che innescò la furia omicida del militare e anche il coinvolgimento di altre persone, poichè apparve improbabile che una persona, da sola, riuscisse a compiere tale carneficina. Si andò dalla pista del traffico di droga (si è parlato di un casolare nelle campagne attorno a Bagnara, utilizzato da malviventi come centrale della droga) in particolare Bagnara di Romagna, si disse all’epoca, fruendo del piccolo aeroporto Baracca, poteva fungere da punto strategico per lo smercio di stupefacenti via aerea. Ma anche il coinvolgimento di alcuni apparati deviati dello Stato, fino alla matrice terroristica. Ad oggi rimangono ancora tante, troppe domande. Tutte ipotesi che non trovarono riscontro, anche per via di una certa chiusura dei vari ambienti, non si indivuò mai una pista eccetto quella del raptus del singolo. All’epoca, la trasmissione ‘Telefono Giallo’, condotta da Corrado Augias, tentò un approccio investigativo che si rivelò vano. Lo storico programma di Raitre voleva affrontare il caso con una puntata ad hoc, ma per ragioni non note, la troupe che se ne occupava dovette accantonare il caso. La vicenda scosse molto la piccola comunità di Bagnara di Romagna, e la caserma della strage venne utilizzata fino a pochi anni fa.
Oggi, quell’edificio è parzialmente inutilizzato, adibito a deposito di cartellonistica stradale. Si è anche parlato di una demolizione, ma pare che non vi fossero i fondi necessari. Nel libro “111 biglie d’acciaio” il caso viene ripercorso in chiave romanzata, in un avvincente crescendo dal punto di vista di Luciana, la vedova Chianese.


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