“111 biglie d’acciao” come il numero di proiettili sparati da una mano omicida nella tarda mattinata del 16 novembre 1988 nella Caserma di Bagnara di Romagna. Lo hanno chiamato “il Raptus del Carabiniere” .Una vicenda rimasta tutt’ora oscura, senza un movente chiaro a giustificare la carneficina. Daniele Amitrano e Marco Conte hanno scritto questo interessante libro – edito da 13 Lab – che riaccende i riflettori sulla vicenda, uno dei gialli piu inquietanti della Romagna. Romanzandolo, in un crescendo di suspense, gli autori descrivono, con grande dovizia di particolari, scenari e personaggi che caratterizzano l’avvicinarsi alla tragedia, tra angosce e sospetti dei protagonisti. In particolare, struggente e intimo il ritratto della figura del Maresciallo Chianese e di sua moglie Luciana.
L’intervista all’autore, Daniele Amitrano.
Qual è stata la reazione delle persone, dopo il vostro lavoro, in particolare gli abitanti di Minturno e del territorio di Bagnara di Romagna e limitrofi?
«Innanzitutto, vorrei ringraziarti per l’attenzione che hai mostrato a più riprese per il fatto di cronaca a cui è ispirato il mio romanzo, ossia la strage di Bagnara di Romagna ma, soprattutto, per l’ostinazione con cui ricerchi la verità, dote che dovrebbe contraddistinguere ogni giornalista/cronista.
Il romanzo è frutto di un lavoro durato circa due anni svolto con il mio co-autore Marco Conte, il quale è il vero motore propulsivo di quest’opera, nonché il nipote di una delle vittime, Luigi Chianese.
Questa attività è stata fatta di ricerche e interviste, nonché di una approfondita revisione del testo, svolta insieme alla casa editrice 13 Lab.
Devo dire che la reazione delle persone mi ha stupito: Se da un lato, in questi anni sono stato contattato da molti lettori, e anche da alcune associazioni, ricevendo addirittura parole di ringraziamento per aver scritto un libro su quella strage, a testimonianza del fatto che molti aspettavano con ansia che qualcuno parlasse di quei drammatici eventi accaduti il 16 novembre 1988; dall’altro lato, non ho ricevuto alcun messaggio da parte delle istituzioni locali, sia di Bagnara di Romagna che di Minturno, paese d’origine di Chianese, personaggio principale del libro, l’unico non romanzato.»
2) All’inizio l’ambientazione è un fantomatico ‘palazzo dei servizi segreti’. Si parla di “bidoni” grandi da portare a Bagnara dove mettere, per far sparire o distruggere, i documenti presenti nella caserma dei carabinieri. Quanto può aver influito sulla conoscenza dei reali motivi della strage, secondo te, aver distrutto verbali su quelle indagini condotte da Luigi Chianese e i suoi commilitoni?
«La scena dei bidoni, come altre contenute nel romanzo, è estrapolata dai racconti delle persone intervistate, soprattutto dai ricordi dell’unica testimone “quasi” oculare, perché presente in loco al momento della strage (anche se nell’alloggio sito al piano superiore della caserma), ossia la vedova Chianese. Alcuni hanno voluto rilasciare delle dichiarazioni sui fatti, altri, invece, hanno preferito la strada del silenzio, scelta che, per carità, io comprendo.»
3) Che idea ti sei fatto sulla tesi ufficiale che giustifica in un raptus il motivo della strage?
Secondo te c’è stata premeditazione e sopratutto può un Carabiniere aver commesso tutto da solo? Nel libro la tesi del raptus improvviso sembra decadere, almeno in parte, fin da subito.
«Partiamo dal presupposto che “111 biglie d’acciaio” è un romanzo che si ispira a fatti realmente accaduti e che, quindi, non si prefigge lo scopo di ricercare o raccontare la Verità, ma solo di mettere in risalto la vicenda, partendo dalle notizie e dalle fonti ufficiali.
Proprio per restare aggrappati alla versione ufficiale, ho scelto di inserire l’elemento della premeditazione perché nel descrivere la scena, non sono proprio riuscito a immaginare un uomo che, senza alcuna premeditazione, riuscisse a compiere una strage di simile portata, in presenza, in pochi metri quadrati, di altri quattro uomini giovani, forti e che si potevano armare in tempi brevissimi ma che, a quanto pare, non si sono proprio difesi o non ne hanno avuto il tempo, pur non essendo tutti nella stessa direttrice di tiro del presunto omicida/suicida.»
4) Ciò che colpisce è l’accurato lavoro sulla figura di Luigi Chianese e della sua famiglia. Che tipo era il maresciallo Chianese, come persone e sul lavoro? Emerge un uomo scrupoloso, intransigente. Sembrava avesse molto a cuore la caserma, avendo acquistando addirittura con i suoi soldi una macchina da scrivere e un forno, ad esempio. Tra l’altro proteggeva sempre la famiglia da pensieri e ansie derivanti dalle sue preoccupazioni lavorative.
«La figura del maresciallo Chianese è stata tratteggiata riprendendo le dichiarazioni della signora Luciana, sua giovane vedova e i ricordi degli altri parenti/amici che hanno voluto partecipare durante la fase di preparazione del romanzo. E ciò che è emerso è stato proprio questo, ossia un uomo dedito al lavoro e alla famiglia, con pochi grilli per la testa e una grande devozione per l’Arma, caratteristica che lo portava a sacrificare se stesso, anche nel tempo libero ed economicamente.»
5)Nel libro, avete descritto molto bene quanto succedeva nel territorio a quei tempi, ad esempio, l’omicidio Minguzzi. Secondo voi, all’epoca, vi erano infiltrazioni tra le forze dell’ordine? (nel libro si parla di talpe, doppiogiochisti che aiutano l’ndragheta, la mafia e la camorra, che gli passano le informazioni..”) In effetti anche gli omicidi della Uno Bianca, che si svolsero in quegli anni, fanno pensare che tra le divise ci fossero infiltrati.
«Questa è una idea che mi è balenata in testa mentre effettuavo le ricerche durante la stesura del romanzo, leggendo la scia di sangue e di strani eventi accaduti nella seconda metà degli anni Ottanta in quel territorio, molti riguardanti in maniera anomala esponenti delle Forze Armate e Forze dell’Ordine, come il povero carabiniere Pierpaolo Minguzzi, prima rapito e poi riemerso privo di vita dalle acque del Po, attaccato a una grata d’acciaio, solo pochi mesi prima della strage, a pochi chilometri di distanza da Bagnara di Romagna.»
«E ho immaginato che questo drammatico evento, come gli altri che stavano accadendo in quei luoghi in quel periodo, potessero aver creato un clima di tensione e sospetti anche all’interno dell’ambiente lavorativo.»
6) Secondo te Chianese aveva dei sospetti sull’operato del carabiniere accusato poi di essere l’artefice della strage?
«Non lo so assolutamente, come non sono sicuro di chi sia il responsabile materiale della strage. Il romanzo si attiene alla versione ufficiale dei fatti ma i personaggi e i fatti circostanti sono frutto della fantasia. L’unico personaggio che si attiene alla realtà è quello di Luigi Chianese. Mi appariva ovvio, dovendo motivare una certa frizione tra i due personaggi, creare un clima di sospetti, ma quella è una questione che si ferma ai personaggi del romanzo, ossia Chianese e Vinci. Ti confido un segreto: il cognome di questo personaggio è un omaggio a mia nonna materna, a cui ero molto legato, che era originaria della Calabria, proprio della provincia di Vibo Valentia.»
8) Secondo te Chianese stava indagando su qualcosa che scottava (nel libro parli di andirivieni di mezzi pesanti con carico sospetto, in orari notturni)?
«Potrebbe darsi, dalle interviste è emerso che si notava una certa inquietudine nei suoi comportamenti degli ultimi tempi ma che, comunque, era molto riservato e che, quindi, era impossibile riuscire a interpretare le origini di questo suo malessere.
Daniele Amitrano è autore»
Il romanzo, edito da 13 Lab, ha conquistato le vette di Amazon, andando in ristampa dopo una sola settimana dall’uscita.
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