L’Accademia Nazionale di Agricoltura ed i Carabinieri Forestali lanciano l’allarme: in Italia sono 11 milioni gli ettari di superficie coperti da foreste, ma la gran parte di queste sono abbandonate.
Incrementare la presenza di boschi ben conservati, capaci di funzionare alla stregua di vere e proprie “spugne naturali”, contribuirebbe a regolare il deflusso delle
acque ed a ridurre l’erosione dei suoli. È tempo di pensare alla stesura di un testo unico nazionale sul dissesto idrogeologico, che sappia valorizzare ed incentivare la gestione del territorio montano anche come utile strumento per salvaguardare le zone vallive e di pianura.
Le recenti alluvioni, che hanno interessato il territorio dell’Emilia-Romagna e della Toscana, hanno richiamato l’attenzione su alcuni dei problemi più contingenti e gravi del nostro Paese: il dissesto idrogeologico e la mancanza di una adeguata pianificazione territoriale capace di far fronte ai distruttivi fenomeni alluvionali indotti dal cambiamento climatico antropogenico. L’Accademia Nazionale di Agricoltura ed il Comando Carabinieri Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari hanno fatto il punto della situazione a Bologna, presso la Sala dello Stabat Mater di Palazzo dell’Archiginnasio, riunendo i principali esperti italiani per la giornata su: “Risanamento e bonifica del territorio italiano nel centenario della Legge forestale Serpieri”.
I dati presentati durante il Convegno sono allarmanti e forniscono un quadro desolante
della attuale situazione idrogeologica nazionale: ben 7.423 comuni italiani (93,9% del
totale) sono a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera. Complessivamente il
18,4% (55.609 km2) del territorio nazionale è classificato a pericolosità frane elevata,
molto elevata e/o a pericolosità idraulica media. Sono 2 milioni gli abitanti a rischio
frane (2,2%) e 7 milioni quelli a rischio alluvioni (11,5%). Ben l’83% delle frane
europee si trovano in Italia (fonte ANBI-ISPRA). Una situazione grave ed in continua
evoluzione che, secondo i relatori intervenuti alla giornata, deve necessariamente portare
ad un deciso cambio di rotta nella pianificazione del territorio. Occorre abbandonare la
logica dei cd. “interventi mirati” per potenziare, invece, in una visione d’insieme, le forme di
pianificazione territoriale su larga scala.
Si rende auspicabile puntare ad un nuovo grande
quadro di interventi di sistemazione dei bacini montani che, ponendo al centro la gestione
sostenibile dei boschi e delle foreste, possano garantire la stabilità dei versanti nella
fascia collinare e montana e, al contempo, contenere il rischio idraulico in quella basale. I boschi e le foreste, infatti, si comportano alla stregua di vere e proprie
“spugne naturali”, capaci di drenare il deflusso delle acque meteoriche e di ridurre
notevolmente il fenomeno del ruscellamento verso valle (che è colpevole dell’aumento
delle portate dei fiumi in pianura). Certo, la naturale funzione drenante di boschi e foreste
montani non può essere considerata, da sola, la soluzione al problema del dissesto
idrogeologico, ma rappresenta comunque un valido strumento di aiuto, che necessita di
essere coadiuvato da una corretta sistemazione e cura del territorio. Il bosco, inoltre, è
capace di ridurre anche l’erosione del terreno. In Europa il 95% dei terreni boschivi non
è soggetto ad erosione a differenza, ad esempio, di quelli dedicati alla coltivazione, che
risultano molto più difficili da gestire.
In Italia la riforestazione ha visto un notevole incremento dal 1950 in poi: in circa 70
anni, siamo passati da 4 a 11 milioni di ettari coperti da boschi, che si estendono,
soprattutto, nei territori montani e collinari, apportando un sensibile aumento della
biodiversità. D’altra parte, nell’ultimo cinquantennio, si è registrato anche un
progressivo e costante abbandono della montagna: i boschi non sono più stati curati
con regolarità ed i versanti non sono più stati soggetti ad interventi di regimazione della
rete scolante superficiale. In altre parole, è venuta a mancare la necessaria cura e
gestione di vaste aree montane, che hanno perso la loro centralità nel quadro della
pianificazione territoriale. In un simile contesto, gli eventi atmosferici degli ultimi anni
“consigliano”, nuovamente, di portare la montagna al centro delle politiche ambientali e di
gestione del territorio, anche per tutelare la sicurezza idraulica nelle zone vallive e di
pianura.
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