Sono trascorsi parecchi anni dall’uscita di Driven, il criticato (ma rivalutato) racing-movie del 2001, ideato e interpretato da Sylvester Stallone. Non tutti sanno che in realtà la pellicola doveva essere ambientata nel ben più ambito Circus della formula 1 e tra le location annoverare anche l’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola.
La notizia, a cavallo del 2000, durante il culmine delle fasi pre-produttive del lungometraggio, approdò anche sui media italiani. Inizialmente il progetto avrebbe dovuto diventare addirittura un biopic su Ayrton Senna, scelta poi resasi impossibile con la morte del brasiliano: ma la pre-produzione, pur rallentando, proseguì.

Le volontà di Stallone diventarono chiare poco dopo: ispirarsi ai personaggi reali della Formula 1, la quale all’epoca stava godendo del suo periodo d’oro – Schumacher, Villeneuve, Hakkinen, Coulthard, Hill , Montoya– riproponendo le somiglianze dei piloti negli attori, utilizzando però i team reali di Formula 1. Ed è che qui nacquero i primi veri problemi: Sly incontrò moltissime difficoltà a raggiungere l’accordo per l’utilizzo delle monoposto di Formula 1: la cifra per diritti, anche per Hollywood, diventò troppo esosa.
L’unico accordo reale che Stallone riuscì a strappare riguardava solamente le immagini di contorno dei Gran Premi, realizzate dalla regia della Formula 1, e riutilizzabili come contorno, nel film.

E pare proprio che il protagonista di Rocky comprò realmente quel pacchetto di diritti, pur non riuscendo effettivamente ad utilizzarli poiché dovette ripiegare sul meno appetibile Campionato americano di Formula Cart.
I problemi nell’affrontare un lungometraggio sulla Formula 1 riguardavano anche le insidie logistiche ed economiche legate ai circuiti. A parte i costi dello spostare camion con attrezzature e scenografie da un posto molto distante dal precedente; c’era anche la difficoltà del trovarsi a dover filmare le spettacolari sequenze degli incidenti nei piccoli e poco adatti circuiti europei tra cui appunto Imola. Pensiamo soltanto a un autodromo cittadino, come quello del Santerno, fra traffico della città, il fiume, i ponti, il parco delle Acque. O Montercarlo, ad esempio. Unitamente al fatto che gli autodromi europei erano fuori mano rispetto agli USA e potevano incrementare i costi in maniera incontrollabile, rischiando che la produzione non giungesse al termine, tornava più comodo un circuito del Canada o un ovale americano.

Stallone aveva iniziato a frequentare i paddock di mezzo mondo già dal 1994, durante le riprese di “DREDD”, tessendo relazioni e rapporti coi team manager e i piloti e sopratutto, tentando di convincere Bernie Ecclestone della sua buona fede. Contemporaneamente alle difficoltà di cui abbiamo parlato sopra, in sostanza , il tentativo di speculazione che avrebbe attuato proprio Ecclestone nei confronti della produzione sui diritti per l’utilizzo delle monoposto (vetture che tra l’altro si trovavano quasi tutte in Inghilterra), fecero definitivamente tramontare il sogno “dell’Iitalan Stallone” di girare un lungometraggio sulla Formula 1 .

Quello che ne venne fuori fu una sorta di ripiego, ove Stallone interpreta un pilota-motivatore ormai al tramonto, che non si capisce se voglia aiutare il compagno-alleato o effettivamente vincere lui. Inoltre nel montaggio il suo ruolo venne ridimensionato, e così “Joe Tanto” si trasformò in una sorta di co-protagonista. I costi per la produzione furono comunque molto alti, con l’intervento esagerato della computer grafica in soccorso alle sequenze degli incidenti. Il risultato rese le collisioni talvolta un poco irreali. La pellicola venne inoltre accolta freddamente dal pubblico e gli incassi del botteghino non bastarono a colmare i costi della produzione, di più del triplo delle spese. Venne poi rivalutato col tempo e resta ad oggi una delle produzioni apprezzate dagli appassionati del mondo del motorsport.
Della Formula 1 rimangono i riferimenti, inequivocabili (il team manager, interpretato da un ottimo Burt Reynolds, in sedia a rotelle come Frank Williams, il tedesco “glaciale” vincitore, Beau Brandeburg, interpreta un alter ego di Michael Schumacher) e i camei dei piloti –Villeneuve in particolare – .
Nonostante non venga quasi mai trasmesso in televisione (forse perché nessuno ne ha mai acquisito i diritti per la messa in onda) Driven, che è diretto da Renny Harlin (Cliffangher), rimane ancora oggi uno dei pochi racing-movie in circolazione, ma ben lontano dal più apprezzato Rush, del 2013, già diventato un vero e proprio cult.