“Skyline Caffé di Salonicco” (terza parte)
il racconto inedito di Marcello Tarozzi

Qui la prima parte
Qui la seconda parte

Forse quello che diceva l’uomo col viso dai tratti così irriconoscibili, ma allo stesso tempo così stranamente familiari, era vero. Forse avrebbe potuto rivedere Maria. Tutto girava, come lo Skyline. D’altronde non lo aveva pensato anche lui prima di incontrare quel tizio?

E perché quell’uomo affermava di conoscere Alexis da tempo? Lui non ricordava di averlo mai visto, eppure gli sembrava di ricordarsi di lui in un qualche modo, di conoscerlo da sempre. Quell’uomo sapeva di Maria.

Ma conosceva tutta la storia? Alexis sentiva il battito del proprio cuore aumentare velocemente, nonostante ciò non perse il controllo della situazione. Anche quando aveva perso Maria il suo cuore batteva con forza, ma anche in quella occasione aveva mantenuto il controllo. In quel momento qualche goccia di sudore marcò la sua fronte.

<<Voglio vedere Maria di nuovo>> disse infine Alexis.

<<Bene, vieni con me allora>>

L’uomo sconosciuto si alzò e gli fece cenno di seguirlo verso l’ascensore che collegava il bar agli altri due piani della struttura.

Mentre seguiva lo sconosciuto con la camicia bianca, Alexis pensò a come era arrivato a quel senso di disperazione che lo tormentava ormai da anni. Dallo Skyline l’azzurro del cielo di quel giorno poteva invitare un cuore privo del peso che lui portava a dimenticare, almeno per un po’, la tristezza. Ma lui portava un enorme peso dentro di sé e quel peso lo aveva logorato per anni, settimana dopo settimana, giorno dopo giorno; era stato come le gocce che scavano lentamente la roccia e lui si sentiva come quella roccia.

Anche se poteva mantenere calma e controllo di sé, dentro di sé le gocce avevano ormai scavato. Dentro di sé era ormai vuoto.

<<Fermati qui>> disse l’uomo con la camicia di flanella. Alexis si fermò davanti alla porta dell’ascensore che lo avrebbe portato ai piani inferiori.

O all’inferno.

<<Non puoi lasciarmi. Non dopo tutto quello che ho fatto per te!>>

Il viso di Maria era sempre lo stesso, come la prima volta che l’aveva vista, ma i suoi occhi, quegli spledidi occhi grigi che lo avevano sempre affascinato, ormai da tempo lo guardavano con indiffenza e disprezzo.

<<Alexis, è finita. Non ti amo più da tempo e lo sai anche tu. Perché prolungare questa agonia?>> aveva continuato Maria. Lei stava facendo le valigie perché voleva andarsene. Alexis sapeva che aveva un amante.

<<Chiamo un taxi e me ne vado>> disse lei con voce decisa.

Lui le prese con forza il braccio destro.

<<Smettila, lasciami andare>> urlò lei. Ma Alexis non mollò la presa e, anzi, immobilizzò Maria afferrrandole anche l’altro braccio. Lei cercò di divincolarsi, ma era troppo debole rispetto ad Alexis.

In quella notte sulle colline attorno a Salonicco le stelle si potevano scorgere distintamente. La luna illuminava il giardino della casa di Alexis come se volesse avvertire di quello che sarebbe accaduto da lì a poco. Nessuno però si accorse di quello che accadde quando le mani di Alexis si strinsero attorno al collo della donna. Bastarono pochi minuti.

Quella notte Alexis portò il corpo senza vita di Maria nel bosco non lontano dalla sua casa e lo seppellì. Le indagini per la scomparsa della donna non portarono ad alcun risultato e il corpo non fu mai ritrovato.

Ma Alexis, il solo a portare il peso di quella notte, aveva perso se stesso.

<<Maria>> si svegliava madido di sudore ogni notte urlando quel nome e, quando questo accadeva, per qualche secondo nell’oscurità della sua camera da letto poteva, o almeno così a lui sembrava, scorgere una figura scura, una donna, che lo guardava da un angolo della camera.

<<Maria>> lui continuava a chiamarla ogni notte, ma lei non rispondeva mai. Lei era in quel bosco, fredda e muta.

Aveva cominciato a pensare di andare a diseppellire i resti perché voleva rivederla ancora una volta. Quel pensiero, quello di rivederla ancora per chiederle di perdonarlo e riabbracciarla, aveva iniziato a corrodergli la mente. Era un pensiero ormai fisso che lo logorava.

Al lavoro a volte, quando lo vedevano così pensieroso, gli chiedevano se tutto anadava bene. In fondo aveva perso la sua fidanzata tempo prima in un modo traumatico. Chi non sarebbe sconvolto per la scomparsa di una persona cara? E per quel motivo lo scusavano per quei momenti in cui era perso nei propri pensieri.

<<Tutto bene, stavo pensando a come sarà bello andare a vedere il mare sul molo>> rispondeva sempre lui.

<<Non devi fare altro che entrare nell’ascensore e spingere l’ultimo pulsante. Poi potrai rivedere la tua Maria>> affermò con sicurezza l’uomo con la camicia bianca.

Alexis sembrò avere qualche momento di indecisione, la mano si fermò a pochi centimentri dal pulsante per la chiamata dell’ascensore.

Ma come poteva essere vero tutto ciò? Si chiese. Stava sicuramente sognando, non c’era altra spiegazione. Doveva ritrovare il controllo di se stesso.

Ma lui voleva rivedere Maria, le voleva chiedere perdono per quello che aveva fatto perché lui la amava. Lei lo avrebbe perdonato e avrebbero vissuto insieme di nuovo.

Certo, non poteva che essere così. Lui la vedeva ogni notte nell’angolo della sua camera e ora avevano la possibilità di ricominciare insieme e tutto sarebbe stato bello e diverso.

L’uomo con la camicia di flanella sorrise, se così si poteva affermare. I tratti del suo viso erano confusi, indescrivibili, ma sempre più familiari ad Alexis; in quell’uomo vedeva qualcosa di se stesso.

Alexis premette il pulsante di chiamata e le porte dell’ascensore si aprirono.

Quando entrò, sentì di avere liberato se stesso da quel peso. Mentre le porte dell’ascensore si chiudevano, Alexis vide che l’uomo con la camicia rideva.

Alexis stava guardando se stesso ridere.

Mentre Alexis scendeva all’inferno lo skyline terminò il proprio giro.

Euphemia sedeva al tavolo dello Skyline Caffé mentre cercava di bere un bicchiere di vino bianco. Quel giorno aveva sentito la necessità di andare in quel luogo e di pensare a quello che aveva fatto. A quella terribile cosa che aveva fatto e che la faceva svegliare ogni notte.

Era bello guardare la città di Salonicco muoversi lentamente. In fondo tutto girava, come sullo Skyline.

Il cameriere le aveva chiesto se desiderava altro.

<<No, grazie>> aveva risposto lei.

<<Una donna ha chiesgto di darle questo biglietto>> disse il cameriere.

A qualche tavolo di distanza una donna con una camicia bianca la stava guardando.

Euphemia aprì il biglietto.

La prossima settimana la prima parte del racconto ambientato nella città di Graz

PUBBLICAZIONI DI MARCELLO TAROZZI
“LA CITTÀ DEI SOGNI – RACCONTI DEL NOSTRO TEMPO”