PRIMO VANNI, UNO DEI MAESTRI DELLA MIA VITA
di ERNESTO VENTURINI (Il sale e gli Alberi)

Primo Vanni è stato uno dei maestri della mia vita. Quando l’ho incontrato per la prima volta, non avrei mai pensato che sarebbe potuto diventare un mio maestro. Stavo “prendendo possesso”, come direttore, di un reparto dell’Osservanzail reparto 13. Il caposala mi aveva condotto nella grande camerata del piano terra e Primo mi era comparso davanti. Con un basco in testa, una giacca unta, un tascapane a tracollo, alcuni fogli tra le mani, si avanzava verso di me :“Lei l’è il novo scienziato?”
Le labbra erano riarse, screpolate, il viso sudato e la mano, che protendeva per un saluto, macchiata d’inchiostro:”Mi chiamo Primo Vanni. Sono uno scrittore.” Indugiavo nel porgergli la mano. Il caposala aveva scosso la testa con sarcasmo: “Certo! Un grande scrittore!”
Mi aveva guardato amicante, con quella complicità che noi “sani” usiamo nei confronti dei “poveri insani”. Allora, per ripicca, avevo ostentatamente stretto la mano a Primo e ,ancora prima di poter controllare, avevo sentito l’inchiostro tra le mie dita.
“Mi piacerebbe leggere qualche suo scritto, signor Vanni”.

Il Dott. Ernesto Venturini, ex direttore
del Dip.to di Salute Mentale di Imola

Nella grande camerata , il letto era il solo luogo dove Primo poteva disporre i suoi fogli spiegazzati. Altri fogli traboccavano da uno stipetto arrugginito. Con una calligrafia infantile e fitta, accompagnata da ingenui disegni, Primo, che a stento sapeva leggere e scrivere, narrava gli avvenimenti della sua vita di contadino. In qualche modo raccontava il modo con cui le genti contadine si erano sempre difese dalla povertà e dalle malattie; parlava nello stesso tempo di rassegnazione e di speranza. Per analogie ed aforismi, ed io mi riconoscevo sempre di più nel suo bisogno di dare un senso alle cose attraverso la narrazione.
E certamente quel suo rivendicare il diritto alla parola era una straordinaria espressione di libertà. Guardavo con incanto e mestizia i fogli che Primo avrebbe disperso in tutto l’ospedale, o che sarebbero stati gettati nella spazzatura, quando Primo, terminato il periodo di accettazione sarebbe sprofondato nella sua periodica melanconia, rimanendo immobile per settimane nel suo letto.
Ma il destino di Primo e dei suoi scritti sarebbe stato deciso di li a poco nel reparto 15. Il reparto era stato svuotato dai ricoverati ed era diventato sede della compagnia teatrale “Mazzolanza-Sagrè”. La gente applaudiva, si commuoveva, capiva. Il reparto 15 era quel luogo dove Marina e Francesco avrebbero dato forma a quei fogli, con pazienza e perseveranza, facendoli diventare un libro vero. “Ma ogni tanto la debolezza ci prende” si intitolava il romanzo della vita di Primo Vanni, pubblicato nel 1990 a cura del Centro Culturale “l’Ortica”.
Il libro rappresentava uno squarcio sul mondo contadino dell’appennino Tosco-Emiliano, sui suoi valori e sulle sue credenze.

Per Primo, come lui stesso diceva, e per tante altre persone ,la ruota del destino stava finalmente girando dalla parte giusta. Ma c’era stata anche una seconda fortuna:Primo era stato uno degli ottantasette ricoverati che avevano chiesto di vivere nella prima casa del dopo manicomio. Senza nessuna imposizione esterna, gli ottantasette si erano autoridotti a ventuno…. e Primo era uno dei futuri residenti. Lo ricordo con la sua valigia di cartone il giorno dell’apertura della residenza: impacciato, contento, accolto sulla soglia da Florence e da Marta. In quello stesso giorno, avevamo fatto una riunione per decidere il nome da dare alla casa. Io avevo proposto il nome di un giovane nero ucciso da una banda di razzisti. Mi pare si chiamasse Henry Maslow. Il fatto aveva provocato molta emozione. Mi sembrava che quella nuova residenza dovesse avere una referenza di forte impatto simbolico. Ma si era alzato Rivola, uno degli ospiti, e aveva proposto il nome “Cà del Vento”: il nome di una trattoria sul vicino Appennino, dove si poteva bere un ottimo vino novello – e Rivola di vino se ne intendeva molto bene ! Naturalmente non c’era stata lotta: Cá del Vento all’unanimitá! Al brindisi inaugurale, avevamo cantato l’inno di Mameli, vincendo il nostro timore per la retorica, perché quello che accadeva ci era sembrato comunque un evento storico. Cá del avento era la realizzazione dei diritti: era una casa vera, dove solo gli ospiti avevano le chiavi della porta e decidevano gli operatori sociosanitari da assumere, pagandoli direttamente con i soldi ricevuti dall’Azienda sanitaria.

“Là Cà del Vento è un’associazione fatta di ventun residenti e di cittadini di Imola, come Marta, che ha un ristorante, come Mita, che è un medico, e come De Brasi, che è il Sindaco – così scriveva Primo Vanni – Cà del Vento è cominciata il 18 maggio 1990 e per ora sono contento; la mattina chi va a prendere il pane, chi va a comprare la pasta.Io, Primo Vanni, vado a portare un foglio a Villa dei Fiori. Per ora sono contento e speriamo nel Bon Dio che ci aiuti sempre.”

“La prima cosa che voglio fare è questa: è di parlare con tutti i “pezzi grossi” per non fare piu le guerre, perchè non deve esistere che un uomo ne ammazzi l’altro, perchè la morte e la manda il Buon Dio quando vuole, Si fan le guerre per conquistare e ingrandire la patria, ma che Patria! Il mondo è tutta una Patria! Non si deve fare piu la guerra, si devono fare strade, case, ricoveri per vecchi, scuole per giovani, e non fare piu armi da guerra”.

Nel gennaio del 1992 era stato ospite al Maurizio Costanzo Show per presentare il suo libro. Era andato a Roma con Florence e gli amici di Cà del Vento. Aveva detto cose molte sagge, ma si mangiava le parole e non era stato capito. Un piccolo disastro. Ma che importa!

“La casa dove sono nato c’era l’aia da battere il grano poco bona. Allora cominciarono a chiamarla l’aiaccia: cominciarono a dire chi la accia, chi la raccia…..E ora,finchè dura il mondo, si chiamerà sempre “la Raccia”.

Dovevo soddisfare il desiderio di Primo e data la sua età, dovevo farlo quanto prima: il ritorno alla sua casa natale, a Casetta di Tiara, avrebbe documentato un viaggio vero, ma poteva simbolicamente documentare un viaggio interiore, un viaggio nella memoria.
Il paese natale di Primo era situato sull’appennino tosco-emiliano , non lontano da Marradi – la terra di Dino Campana – e lo scenario dei due paesi era simile: boschi di querce, castani e lecci, chiese e castelli arroccati sulle colline. Un paesaggio magico, il paesaggio delle favole e delle poesie.
Quando siamo arrivati a Casetta di Tiara, c’è stato l’incontro inaspettato e festoso di Primo con una sua amica di infanzia: si erano abbracciati commossi, lasciando irrompere nelle loro parole il fiume tumultuoso dei ricordi. Eravamo poi discesi a piedi dal centro del paese fino al torrente, per risalire l’altro versante e raggiungere attraverso il bosco, la Raccia.
Primo era visibilmente emozionato, ma si muoveva con sicurezza tra l’erba alta quasi non fossero passati trent’anni dalla sua ultima visita.

Per Primo la commozione era diversa: sfiorava le mura della casa con le dita, incerto, silenzioso. Tutte le sue disgrazie, mi aveva detto un giorno, cominciarono quando aveva dovuto abbandonare quella casa.
Dopo quel viaggio, per alcuni giorni non vidi piu Primo poi, dopo alcuni giorni, lo incontrai al bar dell’Osservanza.

“Alla Raccia s’è seccata la fonte e là non piu l’acqua: bisognerebbe ricostruire la casa giu al fiume, là dove c’è una rovina, che chiamiamo la casa del comune. Ma chi verrebbe a star su con me? L’è il Bon Dio che decide e da il sapore alla nostra vita. Ormai Cà del Vento l’è la mi casa… È vero, una disgrazia la mi è diventata una fortuna!”

Trascorsero alcuni mesi, poi tutto accadde improvviso. Una mattina, davanti al portone dell’Osservanza, Primo si sentì male. Aveva vomitato un liquido marrone e mentre lo sollevavo mi indicava il suo stomaco dolorante.
Il ricovero in Medicina di Primo durò soltanto pochi giorni: il tumore allo stomaco era molto avanzato, inoperabile.

“Ho scritto la mia storia per insegnare agli altri come ho fatto ad ammalarmi..Chiedo al Bondio perdono se ho disturbato. E ringrazio quelli che mi hanno fatto del bene, e che il Bondio faccia la santa grazia che diventino boni anche quelli che mi hanno fatto del male e che mi restituiscano le robe che mi hanno fregato.”

Il 29 ottobre 1993 Primo Vanni, dopo trent’anni di manicomio, moriva a Cà del Vento, in quella che era diventata ormai la sua nuova casa. Moriva alla fine di una vita fatta di povertà e sofferenze, ma anche piena di amicizie e affetto. La sua storia si era legata indelebilmente al processo di deistituzionalizzazione compiutosi a Imola.
Sì, Primo, nessuno può capire quanto sia stata grande la tua sofferenza, nessuno può immaginarla, nessuno ..Forse solo Dio può capire!”

del Dott. ERNESTO VENTURINI
“Primo Vanni, uno dei maestri della mia vita”
Il Sale e la Terra – Negretto Editore


COLLANA MANICOMI di laltraimola.it

LA CHIAVE COMUNE – Esperienze di lavoro presso l’ospedale psichiatrico Luigi Lolli di Imola

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