Imola. E’ da poco trascorso il decennale della scomparsa di Germano Sartelli, tra i più importanti artisti imolesi. Pittore-scultore eccentrico, singolare e grande protagonista dell’arte italiana del dopoguerra. Dall’impegno nel mondo della psichiatria – fu maestro d’arte al Lolli – fino ad alcune struggenti opere sulla strage di Ustica, donate all’associazione dei familiari delle vittime. La sua incredibile storia (segue)
Dopo aver frequentato un corso di intaglio del legno tenuto negli anni ‘30 e ‘40 da Gioachino Meluzzi, Sartelli si dedicò con passione alla scultura al Prato della rocca di Imola, presso i chiostri di S. Domenico, messi a disposizione dal Comun, prima dei restauri e all’Ospedale Psichiatrico Luigi Lolli. La firma delle sue opere è da sempre l’utilizzo di materiali riciclati che vanno dalle pagine di giornali, a fili metallici e legname.
La sua prima mostra nel 1958, fu organizzata da Dino Gavina al Circolo di Cultura a Bologna con presentazione di Maurizio Calvesi.
Nel 1962 gli venne conferito il premio per la scultura dal Ministero della Pubblica Istruzione e nel 1964 espose alla XXXIIesima Biennale di Venezia a cui fecero seguito numerose altre mostre personali e collettive.
LO STILE
La firma delle sue opere è da sempre l’utilizzo di materiali riciclati che vanno dalle pagine di giornali, a fili metallici e legname. L’essenza dell’opera di Sartelli è proprio questa; dalle prime sculture in legno e ferro passa rapidamente all’utilizzo di stracci, fili metallici arrugginiti, mozziconi e cartine di sigaretta, ragnatele, ritagli di lamiera, vimini, paglie, cocci in una costante sperimentazione sui materiali, sempre in evoluzione, sempre cercando di scovare un qualcosa nelle cose. Non smette mai di elaborare ed aggiornare il proprio stile, trovando così sempre nuovi stimoli nel proprio lavoro.
Negli anni ‘50 diede vita a un progetto presso l’Ospedale psichiatrico provinciale Luigi Lolli di Imola per insegnare pittura ai malati, le cui creazioni furono esposte alla Fondazione Besso a Roma nel 1954: era la prima volta in Italia e la mostra suscitò molto scalpore. L’esperienza pionieristica dell’arteterapia è stata narrata anche in un documentario del 2006.
L’organizzazione della scuola, che dipendeva dalla Direzione Sanitaria dell’Ospedale, era curata,
in particolare proprio Germano Sartelli, il quale, pur soccorrendo i ricoverati in tutte le loro difficoltà di ordine tecnico, si preoccupava di lasciarli il più possibile liberi nella scelta dei contenuti da esprimere e delle soluzioni formali.
Videro così la luce opere non proprio informali, né del tutto astratte, ma d’interesse materico. I colori dei suoi quadri sono quelli della frammentata materia che usa; se essa non è varia, l’esito è monocromo. Di grande fascino furono (e sono) le ragnatele che, staccate da soffitte, vecchi mobili, androni trascurati, venivano da lui ricollocate, tese per quanto gli riusciva, all’interno di un rettangolo incorniciato, alcune col fondo, altre senza.
Sia nei relitti della vita sia nei rifiuti materiali Sartelli tenta di sollecitare scintille di vita, di poesia e di bellezza. Lo scopo di una vita. Nel 1962 espone alla Galleria Alibert di Roma, sempre presentato da Calvesi. Il suo nome viene accostato a quelli di Alberto Burri e di Jean Dubuffet. Nel 1963 espone alla Galleria de’ Foscherari di Bologna – che, con la Galleria l’Incontro di Imola, diventerà la sua galleria di riferimento per tutta la vita – i “ferri”: forme metalliche di grande dimensione accartocciate, traforate e di intonazione fitomorfa che spostano le sue attenzioni dall’oggetto all’ambiente. Il suo utilizzo di materiali extrapittorici trovano apprezzamento anche alla Biennale di Venezia del 1964 dove viene invitato da un comitato composto da Calvesi, Afro e Fontana. Negli anni Sessanta il suo rapporto con la natura e il territorio agricolo natale lo portano ad utilizzare vimini, paglie e ciocchi di legno. Negli anni Settanta torna a legni e ferri e a lamiere e metalli. Sartelli ha partecipato a numerose mostre collettive, ha tenuto molte personali, e ha esposto alla Galleria de’ Foscherari negli anni 1963, 1969, 1974, 1977, 1981, 1989, 1991, 1994, 1999, 2001, 2004, 2008 e 2009. Si sono occupati del suo lavoro, tra gli altri, Maurizio Calvesi, Andrea Emiliani, Claudio Cerritelli , Claudio Spadoni e Roberto Daolio.
USTICA
L’attaccamento generoso alla vicenda di Ustica e l’amicizia con Daria Bonfietti (ex parlamentare nonchè Presidente dell’Associazione familiari vittime della strage di Ustica) scaturì in alcune struggenti opere. La prima, nel 1997, che Sartelli volle donare proprio alla Bonfietti a seguito del loro primo importante incontro. La sua opera venne così utilizzati per Manifesti in occasione del 17mo anniversario della strage.
Seguirono altre opere dedicate alla delicata vicenda di Ustica. vicenda dedicate. Spicca la grande tela che nel 2002 fece da sfondo, al Parco della Zucca, allo spettacolo che Marco Paolini riportò a Bologna, Canto per Ustica. Sartelli ripeté anche su tela con lo stesso disegno quest’opera immensa. E allora quello scenario, quello sfondo, la grande opera di Santelli, nella sua complessa indeterminatezza, diventava un impegno, un orizzonte da conquistare: ci nascondeva-indicava una opera da realizzare (il Museo) e un obiettivo da conquistare (la verità).
Ancora nel 2005 donò all’associazione dei familiari un ‘altra sua opera per i Manifesti che annunciavano un Convegno che si tenne a Roma titolato Ustica: quando la verità è dignità. Era sempre lieve e attento il segno che accompagnava le sue opere, pieno di forza e bellezza.
Riguardandole e “assaporandole” oggi, le opere di Sartelli hanno una straordinaria qualità: non sono soltanto messaggio, sono nello stesso tempo un vettore per l’impegno. Narrazione e adesione: le sue forme arcaiche e naturali penetrano e rafforzano i sentimenti, sono voci che continuano a richiamare all’impegno.
CASA SARTELLI – IL RICONOSCIMENTO
Tra i calanchi della valle del Santerno, a Codrignano, una stradina conduce alla casa-atelier di Germano Sartelli, artista informale che dal 1970 elesse questo luogo appartato a fucina dove progettare e creare le sue opere materiche.
Oggi diventa casa-museo, la seconda in città con tale riconoscimento dopo Palazzo Tozzoni: è infatti tra le 14 residenze di illustri che la Regione Emilia-Romagna ha finanziato.
L’abitazione è popolata da molte di queste creazioni: dalle sculture della serie “Foreste” alle installazioni in metallo disseminate nel boschetto circostante.
Il vero e proprio atelier, oggi trasformato in deposito espositivo, si trova lì dove una volta c’era il fienile: spazio perfetto per l’utilizzo di fiamma ossidrica e smerigliatrice, cari all’artista più che tele e pennelli.
(Si ringrazia : Marzia Sartelli)
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