Roberto Mezzini – conosciuto da tutti come Mez – ci ha purtroppo lasciati nel 2019. Gli si possono imputare tante cose ma non quella di non essere stato fedele al suo “credo” fino alla fine. La libertà. “Mezzini Dottor Roberto”, come gli piaceva farsi chiamare, è stato davvero un uomo libero, tanto da venire emarginato per i suoi modi eccentrici e fuori dagli schemi. Mez aveva orari e modi di vivere tutti suoi. In casa non aveva il frigorifero, si alzava alle quattro del pomeriggio e cenava a mezzanotte. Tutti l’hanno incontrato almeno una volta per la strada, in molti ci hanno parlato ma in pochi l’hanno conosciuto veramente bene. Pino Landi è uno di quei pochi: ne abbiamo tracciato un profilo in una speciale diretta sulla pagina facebook di laltraimola .
È vasta e interessante l’aneddotica che riguarda questo incredibile personaggio: Mez nasce nel 1951 e fin da adolescente si fa conoscere per il suo carattere anticonformista e ribelle. Colto, severo, dotato di grande intelligenza, piuttosto che gli studi umanistici (che affronterà da autodidatta) si innamora della musica (abile batterista, fan dei Doors, ma anche polistrumentista) e soprattutto delle arti visive. Si iscrive così al DAMS di Bologna dove effettivamente attorno al 1982 si laurea in regia a 31 anni suonati. Firma la sua tesi con un film, che non ha mai voluto far vedere a nessuno.

Poi, col passare degli anni ’70 e l’ingresso degli ’80, mentre molti dei suoi coetanei iniziano a mettere su famiglia, quando i movimenti studenteschi scemano e le piazze si svuotano, Mez compie una scelta rivoluzionaria, rimanendo fedele alle sue idee e al suo anticonformismo a cui tanti dei suoi amici avevano ormai rinunciato: inizia ad abbandonare i vestiti, smette di farsi la barba e si fa crescere il codino. Continua nei suoi studi, divorando libri di tutti i generi, appassionandosi di ingegneria.

Ma il suo amore vero è per le biciclette, che ripara e costruisce: verso la fine degli anni ottanta entra così nell’immaginario collettivo imolese con la bici dai pedali sul manubrio. Un lavoro che, per un neofita dell’ingegneria come lui era tutt’altro che semplice. A memoria ne sviluppa tre diversi prototipi. Col passare degli anni e l’ingresso nell’ultimo decennio del secolo scorso, Mez diventa un vero e proprio personaggio imolese, con l’iconica barba e i capelli bianchi inizia ad assomigliare sempre di più ad un santone indiano.
Occorre ricordare come sia stato un pacifista e antimilitarista convinto. Tentò in tutti i modi di sottrarsi alla leva militare, riuscendoci. Siamo all’indomani del ’68, si risvegliava una coscienza critica nei giovani durante le mattanze del Vietnam e anche Mez ripudiava le armi con tutte le sue forze. Chiamato a fare la “tre giorni”, pare venne poi riformato. Un suo amico ammise ai militari che se lo avessero chiamato, avrebbe utilizzato quelle stesse armi contro di loro. Riformato anche lui.
Roberto era un anarchico, un ribelle eccentrico, parlava con tutti senza distinzioni. Ma era anche un burbero, un testardo, mai modesto e qualche volta antipatico.
Alcuni suoi compagni di scuola ricordano che tra i banchi di scuola delle superiori, era l’unico che ebbe il coraggio di rispondere all’arrogante Preside, durante un rimprovero, dicendogli di “chiudere quella cloaca”.
Visse per molti anni in una piccola viuzza tra Porta Montanara e la Rocca: via Saragozza, che diventò in un certo senso, popolare, proprio perché ospitò per anni casa di Roberto Mezzini.

Roberto a 30 anni (RIP)

Scrisse un libro – “L’ARTE DI VIVERE” – che non volle mai far leggere a nessuno. Nei primi anni ottanta, dopo la laurea, come raccontava lui stesso, venne “raccomandato” da un alto prelato alla sede regionale della nota tv statale: andò effettivamente a Bologna, presentandosi scalzo, venendo cacciato via. Raccontava spesso questo episodio in quanto gli fece rafforzare la tesi di come l’abito faccia il monaco e proprio da quel fatto Roberto scelse di andare avanti per quella strada. Era rammaricato di come talvolta veniva emarginato ma era vero come gli piacesse catturare l’attenzione.
D’estate, al mare o al fiume, al posto di un costume utilizzava una rete da pesca: fino a pochi anni fa lo si vedeva spesso mentre faceva il bagno nel Santerno in prossimità del ponte della Tosa. Negli anni novanta lo si incontrava spesso nei parchi condominiali con aquiloni, l’arco o il boomerang.

Roberto era un abilissimo batterista, suonò con molti musicisti imolesi (anche col Gallo) e il noto musicista indiano Zackir Hussain lo volle nella sua formazione al concerto della Rocca.
Leggendario il portone d’ingresso nella sua casa di Via Saragozza, con una rete di materasso a mò di “antifurto” e la gigantografia della sua carta di identità appesa alla buca delle lettere, poi sostituita da un foglio con nome e numero di telefono.
ECCO IL VIDEO DELLA PUNTATA A LUI DEDICATA