Il vecchio ingresso del manicomio Lolli (poi Cup)

Ci sono voluti più di vent’anni all’infermiere Giovanni Angioli, ex capo reparto all’Autogestito Lolli, per metabolizzare la sua esperienza professionale e di vita tra le mura di un ospedale psichiatrico imolese. L’ha raccontata in un interessante libro politically scorrect dove racconta la verità- nient’altro che la verità- senza ipocrisie o luoghi comuni – dell’esperienza di un infermiere psichiatrico tra le mura del complesso di Viale Saffi.


Poi, negli anni ottanta, dopo la legge 180, l’avvento del reparto “Autogestito” – questa comunità in anticipo sui tempi che fece scuola anche a livello nazionale, tramite il suo Primario Giorgio Antonucci con le esperienze degli ospiti riabilitati alla vita.
Il reparto, inteso sotto forma di comunità, era situato all’interno del complesso del Lolli, in un padiglione sul versante che confina con Viale D’Agostino. A tratti, l’Autogestito – ove Angioli prestò servizio fino al pensionamento- fu anche mal visto da qualcuno degli addetti ai lavori proprio perché contro-corrente e ritenuto troppo in anticipo sui tempi. Proprio come il suo primario Antonucci, (reduce dell’abbattimento dei muri all’Osservanza, dove lavorò prima di approdare all’Autogestito) – la comunità fu anche tra le prime ad aprire le porte ad artisti di rilievo internazionale, che si ritrovarono ad esibirsi davanti ad un pubblico di degenti psichiatrici- (ma che erano componenti di una famiglia all’interno della comunità)
Queste scelte , attirarono critiche (e invidie) dagli altri manicomi e da un certo mondo della psichiatria. Ma secondo Antonucci – l’ospite era un elemento pensante da mettere al centro del manicomio e non ai margini – per questo all’Autogestito venne istituito per la prima volta, tra i primi in Italia, un tavolo d’ascolto con i malati.




Molto prima degli altri, nel reparto erano state abbandonate molte delle contenzioni presenti. Lasciati gli ospiti di sesso maschile e femminile vivere assieme con attività, partite a carte, dipinti, scrittura. I più autonomi potevano uscire dal reparto, vivere la città e dormire fuori. Ed eravamo soltanto all’inizio degli anni ottanta. Una rivoluzione “gentile”. Angioli, dal 1971 infermiere al Lolli – poi Autogestito- ha raccolto in questo libro – “La Chiave Comune – Esperienze di lavoro presso l’ospedale psichiatrico Luigi Lolli di Imola è edito da “La Mandragora” (qui il link) la sua esperienza all’interno del manicomio, in due distinte fasi, quella del Lolli e quella relativa al mutamento nell’autogestito.
“In manicomio esistevano della situazioni assurde” racconta l’ex capo infermiere – “persone che finivano dentro per una sbornia, donne che per una crisi post-parto finivano stritolate negli ingranaggi della psichiatria, oppure la vergogna di essere rimaste incinte, non essendo sposate, o peggio ancora essere fecondate da un familiare. All’autogestito ne avevano due casi di donne con figli frutti di incesto”.
Il libro – “La Chiave Comune” – è un lavoro davvero importante, con una prefazione d’eccellenza, a firma del compianto medico psicanalista Giorgio Antonucci, che Angioli ricorda con grande affetto. Un amico, che venne a trovarlo alla presentazione del libro quando già la malattia lo stava consumando. “Io non feci l’università, facevo il contadino, e mi ritrovai quasi da un giorno all’altro in reparto. Antonucci fu la mia università”.
Ancora ricordi tratti dal libro, testimonianze che occorre mantenere vive per non dimenticare questo “olocausto imolese” :“Mio padre”– ricorda Giovanni Angioli ” –“fu prigioniero per tre anni in un campo di concentramento in Germania, e all’inizio degli anni settanta, quando seppe come si lavorava in manicomio, paragonò il lavoro degli infermieri psichiatrici a quello delle SS nei campi di concentramento”
L’ex caporeparto, che si trovava da poco in quel mondo, cercò di spiegare al padre che le misure di contenzione erano necessarie. Angioli stesso non toccò mai con un dito un ospite ne tantomeno venne mai toccato. E fu tra gli artefici di quella rivoluzione che vide l’Autogestito curare i pazienti con metodi umani e gentili.

LA POPOLARITÀ DELL’AUTOGESTITO
Verso la seconda metà degli anni ottanta si apprende come nel nostro paese la legge 180 non venga assolutamente messa in vigore in molti ospedali psichiatrici. All’interno dei più importanti manicomi di italiani, le condizioni dei pazienti sono da terzo mondo. In questi ambienti la Legge Basaglia è come se non sia mai stata fatta ed è ancora attivo l’antiquato modello lombrosiano. Dunque, di fatto, i manicomi non solo stentano a chiudere, ma le condizioni dei pazienti, riprese dalle telecamere nascoste della Rai grazie all’allarme di un parlamentare dei Verdi, scoprono situazioni terrificanti. Ospiti lasciati dormire per terra in mezzo alle loro feci, cibi inaccettabili, assenza di infermieri, letti madidi di urina, muri cadenti. Questa situazione porta il paese a scoprire una verità nascosta, c’è forte indignazione. Si scopre così che a Imola, all’interno della Comunità dell’Autogestito Lolli, è in vigore da tempo un superamento del manicomio che pone al centro della Comunità il paziente, ormai già tornato in possesso dei suoi diritti, della sua dignità. Gli viene restituito il conto corrente e di conseguenza i suoi diritti e soprattutto la loro dignità. Un passo importante dalla realtà imolese guidato dal grande medico Antonucci, che si scopre essere un grande comunicatore anche a livello televisivo. L’Autogestito Lolli inizia dunque a fare scuola, portando le nascenti comunità satelliti del panorama manicomiale imolese (e nazionale) a seguire in parte anche questa realtà-famiglia.

Angioli e Antonucci