Esiste un tortello amaro? Nell’edizione 2021 del Baccanale di Imola, che ha per tema il gusto “Amaro” la domanda è servita calda all’incontro pubblico organizzato dalla Delegazione di Imola dell’Accademia Italiana della Cucina, venerdì scorso, nella sala conferenza della biblioteca comunale, dal titolo “Tortelli dolci, tortelli salati, tortelli amari”.
A parlarne sono stati Massimo Montanari e Luca Cesari, coordinati da Antonio Gaddoni, Delegato della Delegazione di Imola dell’Accademia Italiana, che ha ricordato come questa iniziativa “rappresenti un momento di incontro dell’Accademia anche con il pubblico, il terzo in questo 2021”. “Un abbinamento con il Baccanale che prosegue e confidiamo che possa continuare anche in futuro, perché l’Accademia propone sempre incontri speciali, di grande interesse per tutto il pubblico” ha aggiunto Lidia Mastroianni, responsabile attività culturali del Comune di Imola e coordinatrice del Baccanale.
Un interesse che ha coinvolto il pubblico in un viaggio che dal Medio Evo ha raggiunto i giorni nostri, all’insegna di quella che oggi è una pasta ripiena, passando attraverso la famosa risposta di Margutte a Morgante, nell’omonima opera scritta da Luigi Pulci sul finire del ‘400: “E credo nella torta e nel tortello / L’uno è la madre, e l’altro è il suo figliuolo”.
In questa storia di famiglia, “il tortello è un’invenzione del Medio Evo che mette insieme l’idea della torta e la pasta. Mentre la torta ha una crosta dura, di pane, usata per contenere, per cuocere, per sostenere, i tortelli mettono insieme la tradizione della torta con la pasta. Il tortello è un involucro di pasta e si cuoce in tanti modi: lessati, arrostiti, fritti. Con un sapore diverso a seconda di quello che contiene: possono essere cibi poveri o pregiati, a seconda delle classi sociali” precisa Massimo Montanari, professore di Storia dell’Alimentazione all’Università di Bologna, dove ha fondato il Master Storia e cultura dell’alimentazione; presiede il Comitato Scientifico incaricato del dossier di candidatura della “cucina di casa italiana” all’Unesco. E solo a partire dal ‘700 si distingue fra tortelli da mangiare come primo piatto o come secondo piatto: prima era indifferente che fossero fritti, lessati o in forno.
Proprio rispetto al sapore, la risposta alla domanda sull’esistenza di un tortello amaro arriva da Luca Cesari, storico della gastronomia con la passione tipica dei ricercatori di vecchi ricettari e delle origini dei nostri mangiari, che collabora con il Gambero Rosso, con il sito “Dissapore”, ha una rubrica su ‘Il Sole 24 ore’ dal titolo “Indovina chi sviene a cena” ed è autore de “La storia della pasta in dieci piatti, dai tortellini alla carbonara” (Il Saggiatore, 2021), col quale ha vinto il Premio Bancarella per la cucina.
“Quello che conosciamo essere preparato ad oggi, è il tortello amaro di Castel Goffredo (Mantova) che contiene al suo interno l’erba di San Pietro, uno dei tanti nomi della Tanacetum balsamita, detta anche “erba amara”, che è abbastanza amara, con doti balsamiche. Fondamentalmente è un tortello vegetale, anche se nel ripieno sono presenti, fra gli altri, anche uovo, formaggio, cipolla, aglio. Di fatto i tortelli amari sono molto rari in Italia: l’amaro è un rivolo non ricco di esempi storici” dice Luca Cesari.
Fra questi vi sono i Torteleti de enula, che appaiono citati in un ricettario italiano del Trecento. “Sono il primo esempio di tortelletto, che chiamiamo tortellino, il nipote della torta” racconta Montanari, che aggiunge “l’Enula però ha un odore e un sapore che non piacciono a tutti, come ci ricorda il botanico e naturalista italiano Costanzo Felici, in un suo testo di botanica scritto verso il 1570”. Luca Cesari ha provato a rifare la ricetta, ma il primo tentativo deve essere replicato per approfondire meglio il tema, utilizzando le radici e non le foglie di Enula.
Sul tortello in versione dolce è tutto più facile: “c’è il tortello dolce mantovano, quello di zucca del ferrarese e quello ancora più dolce nel cremasco” enuncia Luca Cesari. “L’area padana, fra Mantova, Cremona e Ferrara è la patria del tortello. E’ l’Italia del grano tenero, che è ottimale per l’involucro di pasta dei tortelli e non ha il grano duro” aggiunge Montanari.
Dal tortello al tortellino il passo e breve e da qui al cappelletto è un attimo. E difatti, l’incontro, che vede al tavolo emiliani e romagnoli, ci scivola dentro come il ripieno in un tortello. Il dialogo fra gli interlocutori si fa fitto, senza più quasi distinzione fra forma e contenuto, in un rilancio continuo di affermazioni che hanno il sapore di una dolce condivisione.
Da questo fitto rilancio di note storiche emerge che il tortellino prende il nome dalla torta, in quanto racchiude, mentre il cappelletto è la forma in cui si chiude il tortello. Il tortellino bolognese è piegato a cappelletto. In altre parole, il cappelletto è la forma (a cappello) e il tortellino il contenuto, per cui il cappelletto (come si chiama in Romagna) è un tortellino (come si chiama in Emilia) elegante. La differenza è solo nel come vengono piegati, partendo dal fatto che è solo dagli anni ‘30/40 del secolo scorso che il tortellino viene fatto su pasta tagliata in forma quadrata, mentre in precedenza – come conferma lo stesso Artusi – erano tagliati su pasta tonda, della dimensione dello scudo da 5 lire. E fino a pochi decenni fa, non c’erano differenze fra cappelletti e tortellini. Nel tortellino la costante non è il ripieno, ma la dimensione, che deve essere sempre piccola. Per il ripieno, ad esempio, il maiale entra a farne parte solo a partire dall’800. Il tortello alla bolognese da inizio ’500 è sempre a base di pollo e midollo. E’ l’Artusi che mette nel ripieno prosciutto e mortadella.
“Quello dei cappelletti e dei tortelli è il regno della libertà e della fantasia, in cui si fa un qualcosa per riempirlo con ingredienti che dipendono da chi li prepara e da quali materie ha a disposizione” conclude Montanari. Il successo di questi prodotti deriva proprio da questa libertà e fantasia: il ‘gioco’ lo fa quello che si aggiunge. Per dirla con le parole di Massimo Montanari “nella storia del gusto è questa la linea: mescolare, equilibrare, armonizzare. Senza mai dimenticare l’amaro”. Ed allora, dolci, salati, amari: l’importante è che siano tortelli.
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