Il 23 Aprile 1989 è un giorno che i ferraristi (e gli imolesi) hanno impresso nella memoria.
Gran Premio di San Marino, secondo appuntamento della stagione. Le Ferrari arrivano sul Santerno dopo il ritorno alla vittoria nel GP inaugurale del Brasile, cosa che conferma effettivamente un concreto sviluppo delle vetture di Maranello.
Sul Santerno, il pilota austriaco non vuole sbagliare. Si è qualificato quinto.
Alle 14.00 i semafori verdi fanno scattare Senna e Prost in testa al gruppo. Berger parte bene, facendo attenzione a non farsi coinvolgere in qualche collisione, dopo l’errore del Brasile che gli era costato il ritiro.
Al quarto giro, col serbatoio che trabocca di carburante, la 28 di Maranello tira dritto al Tamburello; dopo una serie di carambole, la monoposto, ormai ridotta a un rottame, viene divorata dalle fiamme, divampate dal serbatoio ancora colmo della benzina ad alto carico di ottani. Cinque, dieci secondi. Attimi che sembrano infiniti. Dopo soli QUATTORDICI secondi l’Alfa dell’antincendio si precipita sul prato del Tamburello. Siamo a pochi metri prima dal punto in cui uscirà di pista Ayrton Senna.
Dalla 75 della CEA escono tre uomini: sono Gabriele Vivoli, metalmeccanico, Paolo Verdi, ceramista e Bruno Miniati, impiegato: svuotano tutti gli estintori su quanto resta della Ferrari 640. Intanto sopraggiungono anche gli altri colleghi con dei nuovi estintori. Il povero Berger è in stato di semi-incoscienza, ancora all’interno all’abitacolo. La tuta inzuppata di benzina e con diverse ustioni sul corpo. Nonostante l’urto violentissimo (attorno ai 250 kmh) la scocca della Ferrari ha retto specialmente in prossimità dell’abitacolo, salvando la vita al pilota. Il resto lo hanno fatto quegli eroi in rosso, che con la loro lucidità e abnegazione, ancora una volta messa in pratica dopo ore e ore di esercitazione, evitando una tragedia. I soccorsi imolesi fanno il giro del mondo, e sui giornali i caschi rossi diventano “Angeli”.
Berger inizia a riprendere conoscenza, si muove, mentre viene estratto dall’abitacolo.
“Quando mi sono accinto a spostare la traiettoria, ho visto che la macchina non ha risposto” ricorderà tempo dopo il pilota – “Ed è iniziata a volar via come un razzo contro quel muro: tento ancora di sterzare ma qualcosa sicuramente si è rotto. Sono come morto. Nemmeno tocco i freni per evitare, chissà come, il muretto che mi viene addosso alla velocità della luce. Incrocio le mani sul petto, non so neanche io perché, forse un gesto istintivo. Urlo. Poi il buio. Non mi ricordo più niente”.
Però, nonostante la tecnologia facesse passi da gigante, si palesarono in poco tempo I fantasmi di Lorenzo Bandini, Roger Williamson e Niki Lauda.
Per porre rimedio a questo la FIA spostò i serbatoi alle spalle del pilota, ubicati precedentemente lateralmente: vengono cambiati i materiali per i contenitori di benzina, (fibre di Kevlar) in modo che non venissero più perforati dai detriti, come nel caso di Gerhard Berger.
Intanto, l’austriaco viene trasferito all’Ospedale Maggiore, e per uno strano gioco del destino il suo sarà lo stesso reparto dove verrà trasferito Ayrton Senna, a cui toccherà ben più triste epilogo, cominciato nella stessa curva, pochi metri più avanti, dell’amico pilota.
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