Nell’alto piacentino, in una zona golenale del fiume Po esiste – o meglio esisteva – la più grande e moderna centrale nucleare italiana. L’impianto si trova nel comune di Caorso, in località Mezzanone di Zerbio e vantava una potenza di 860 MW.
Si trattava di un impianto di seconda generazione: costruito negli anni settanta, entrò in servizio nell’81 e dopo soltanto sei anni venne fermato, a seguito del disastro di Chernobyl e l’esito del referendum sul nucleare del 1987. 

Nel 1990 è stato deciso di fermare definitivamente l’esercizio commerciale della centrale. Da allora è stato garantito il mantenimento in sicurezza delle strutture e degli impianti a tutela della popolazione e dell’ambiente. Nel 1999 Sogin SPA è divenuta proprietaria della centrale con l’obiettivo di realizzarne il decommissioning, ovvero il suo smantellamento, avviato a seguito del decreto del Ministero nel 2000. Nel 2023, dopo più di venti anni dall’avvio della procedura, lo smantellamento della centrale aveva raggiunto il 50% .

LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI RADIOATTIVI

Nell’impianto sono ancora oggi stoccati, nei depositi temporanei, i rifiuti radioattivi prodotti dal pregresso esercizio dell’impianto e quelli derivanti dalle operazioni di smantellamento.

Il volume dei rifiuti radioattivi presenti al 31.12.2023, classificati secondo le disposizioni del decreto interministeriale del 7 agosto 2015, era di 918 metri cubi (mc).

Il trasferimento in Slovacchia di tutti i 5.900 fusti di materiale – resine e fanghi radioattivi – prodotto nel periodo di funzionamento della centrale di Caorso è stato completato a inizio 2022, dopo circa 2 anni di lavoro. Quando torneranno in Italia, il volume dei materiali nucleari sarà ridotto del 90%.  Ultimamente, è tornata l’ipotesi che Caorso possa diventare uno dei depositi di materiale radioattivo riprocessato. Entro quest’anno dovrebbero rientrare in Italia tutti i materiali radioattivi riprocessati anche in Francia, Gran Bretagna e appunto, Slovacchia. Visto anche che si allontana nel tempo, perché nessuno lo vuole, il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi la soluzione potrebbe essere quella di avere uno o più depositi gestiti da Sogin. Il Fatto scriveva come “In tutto il Paese oggi sono 22 i depositi temporanei che custodiscono rifiuti radioattivi, molti dei quali non sono affatto idonei. ” Quale sarà il futuro della ex Centrale di Caorso a oltre 40 anni dalla sua dismissione? Quello di deposito di scorie rigenerate?

NUOVE VISIONI “Il ritorno al nucleare?”

La centrale si trova in una zona golenale del Po e quindi ritenuta da Legambiente in un’area ad elevato rischio idrogeologico. Con il rincaro energetico negli ultimi anni si è tornato a parlare di nucleare. L’amministratore delegato di Sogin, gestore dell’impianto, ha dichiarato recentemente che «Per un ritorno al nucleare, oltre alle sue competenze, Sogin mette a disposizione i siti delle vecchie centrali che stiamo smantellando. Noi smantelliamo gli impianti non smantelliamo i siti. Questi sono stati progettati e manutenuti come siti per ospitare una centrale nucleare e sono la naturale destinazione per un futuro nuovo impianto».

BRASIMONE – DA CENTRALE NUCLEARE MANCATA A CENTRO DI RICERCA D’ECCELLENZA

Eppure, è un’opera incompiuta, testimone di quello che l’Italia era quasi riuscita a diventare, ovvero un Paese all’avanguardia nel nucleare, una delle tecnologie più sfidanti della storia dell’uomo.

Il reattore PEC “Prova Elementi Combustibili” non è mai stato ultimato. Dopo l’incidente di Chernobyl l’Italia ha abbandonato il proprio programma nucleare, e con esso il PEC. Questo però non ha minato la vocazione ad innovare del Centro e dell’ENEA, e la determinazione nel guardare al futuro,  di tutti i ricercatori e i tecnici che lavorano presso il Brasimone.

Abbandonata la politica di produzione di energia elettrica da fissione, dopo il referendum del 1987 iniziò un processo di riconversione delle risorse umane e strutturali, orientando le attività del Centro prevalentemente verso la tecnologia della fusione termonucleare controllata; ciò ha permesso di realizzare ulteriori investimenti che hanno profondamente modificato il Centro e le sue capacità operative, dotandolo di ulteriori infrastrutture, impianti e laboratori per ricerche tecnologiche, talora in grado anche di applicare le competenze a settori completamente diversi.

Quello del Brasimone è quindi diventato un Centro di Ricerca, proiettato verso il futuro, a vocazione internazionale.