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Aggredita perché non porta il velo “Potrebbe essere la punta dell’iceberg”


Nei giorni scorsi, a Massa Lombarda, una donna di origine nordafricana e fede musulmana è
stata brutalmente aggredita in pieno giorno, davanti alla figlia di sei anni. L’aggressione sarebbe avvenuta per il suo rifiuto di indossare il velo e per la sua scelta di vivere seguendo uno stile di vita occidentale.

MACCAGNINO “C’è il rischio che sia la punta dell’iceberg”

Inquieta il fatto che, a poche ore dai fatti, vi siano stati tentativi – secondo quanto emerge da
fonti attendibili – di convincere la vittima a ritirare la denuncia. Non possiamo tollerare che la
pressione culturale o religiosa si trasformi in una forma di intimidazione o silenziamento.
” A dirlo Daniele Macagnino :Viene spontaneo chiedersi: ma si tratta di un caso isolato o è la punta di un iceberg? Quanti altri episodi simili vengono nascosti per paura o per convenienza? E qual è il clima culturale e sociale che rende possibile, o addirittura tollerabile, un simile gesto?”
La donna aggredita ha deciso di non indossare il velo, di vestirsi all’occidentale, di
vivere secondo principi di libertà e autodeterminazione. Questo ha disturbato e provocato la
reazione di ambienti che faticano ad accettare l’integrazione come percorso di libertà
individuale.
Questo è il momento per tutte le forze democratiche e le associazioni, comprese quelle
femministe sempre sensibili al tema della violenza di genere, di scendere in campo senza
ambiguità. La donna aggredita ha fatto una scelta di integrazione autentica, mantenendo la
propria fede ma aderendo liberamente a uno stile di vita conforme ai valori della nostra
società. Va sostenuta e protetta.
Anche il Comune” –
aggiunge Macagnino – ha un ruolo fondamentale: può promuovere un messaggio chiaro di
condanna dell’accaduto, garantire supporto concreto alla vittima e alla sua famiglia, e
attivare strumenti di monitoraggio e prevenzione per evitare che episodi simili si ripetano.
I rappresentanti della nostra associazione presso l’Unione dei Comuni stanno già
preparando un’interrogazione circa i numeri delle Forze dell’Ordine dislocate sul Territorio, le
prime forze a difendere i cittadini a fronte di fatti criminosi come quello accaduto.”

PAMELA ORRU – Sindacalista “Sindaco prenda le distanze da questo silenzio”

“È tempo che il Sindaco di Massa lombarda, Stefano Sangiorgi, prenda le distanze da questo silenzio. Un silenzio che è intriso di disperazione, una donna che vuole vivere la propria vita lavorando, occupandosi dei suoi bambini, in pace, tranquilla.
È incredibile questo silenzio , dalle istituzioni ma soprattutto dalle associazioni femminili, che tacciono, come a confermare che la violenza sulle donne sia praticabile se a usarla sono individui di nazionalità non italiana.
Voi, donne delle associazioni, sempre pronte a mettere alla gogna un manifesto o un nudo femminile, vergognatevi, vergognatevi del fatto di erigervi a paladine delle donne.
No, voi non le rappresentate le donne.
Perché se è vero che secondo voi una donna può uccidere una vita perché dispone in autonomia del proprio corpo, maggiormente una donna ha diritto di girare per strada senza essere aggredita. Esiste una punizione per questi animali, si chiama DASPO, che il sindaco di massa lombarda cominci ad applicarlo, i nomi li sapete suvvia…e sapete anche dove trovarli”

ELENA BORRELLI – Consigliera Fratelli d’Italia Lugo

Sabato pomeriggio, un cancello come tanti. Un cancello di ferro battuto, alto, dal quale non si riesce a vedere l’interno.
Suoniamo. Una ragazza ci accoglie, prima con con un leggero timore, ma poi si apre subito e ci apre la sua casa. Con lei ci sono le figlie, una di sei anni e l’altra una ragazzina adolescente e i genitori. La madre della ragazza indossa un abito rosa, il capo coperto dal velo.
Entriamo. Ci accomodiamo e in modo molto naturale iniziamo a parlare del più e del meno, delle bimbe. La ragazza è molto affettuosa e dolce con le figlie. Le bimbe molto attente alla mamma. Un clima di affetto, abbracci. Calore.
Le chiediamo un po’ di lei e inizia a raccontare la sua storia, molto complicata: lei è algerina ha 32 anni e una storia fatta di dolore, soprusi subiti da quello che è stato il padre della figlia, di fuga e riscatto in Italia con i genitori che la sostengono e la supportano sempre; sofferenza sì, ma anche voglia di vivere, dignità, speranza, amore per la propria famiglia e soprattutto per le sue bambine.
Lei non ha la patente, ma questo non le ha impedito di lavorare fino a poco tempo fa presso una fabbrica di imballaggi sostenendo anche turni di notte e presso un ristorante come cameriera, arrivando a lavorare anche 18 ore al giorno pur di mettere da parte il denaro per permettersi di pagare l’affitto dell’appartamento in cui vive. Quell’appartamento dove abita in affitto è la realizzazione dei suoi sogni: un posto tranquillo e accogliente che le è stato assegnato con l’aiuto dell’attuale sindaco di Massalombarda che lei vede come un benefattore.
Poi la difficoltà a sostenere questi ritmi di vita; cessa il rapporto il lavoro presso la ditta di imballaggi, lei continua con qualche impiego saltuario e vive attualmente con i sussidi di disoccupazione. Ha un unico pensiero: poter continuare a pagare l’affitto di casa e per dare una vita serena alle sue bambine.
Le chiediamo di quello che ha subito e si apre un abisso: l’episodio subito di cui abbiamo letto sui giornali è solo l’ultimo di una serie di aggressioni verbali, psicologiche e fisiche subite da persone della propria etnia e religione che la giudicano, solo per il suo desiderio di non portare il velo, di vestirsi all’occidentale, di emanciparsi attraverso il proprio lavoro, di vivere secondo i principi di libertà e autodeterminazione. Ci racconta di alcuni casi di insulti ricevuti da persone che, già sotto l’effetto di alcool in pieno giorno, la prendono di mira. Una donna sola. Un uomo che la insulta, i passanti che vedono e passano oltre oppure si fermano ma non fanno nulla. Le sue parole contro il muro di gomma dell’indifferenza. Del cinismo. Spesso insultata da altre donne della sua stessa etnia, lei perché cerca di integrarsi nella cultura del paese in cui è venuta a vivere, perché giudicata diversa. Presa di mira perché sola e indifesa.
Nel racconto dell’ultimo fatto subito un uomo le rivolge offese davanti alla figlia di sei anni; le sputa addosso, quello che la ferisce è che lo sputo non abbia colpito lei ma la bimba. Lei tenta di difendersi facendo un video con il cellulare, lui le getta via il telefono, le da un calcio nelle parti intime e un pugno al viso. La bimba urla, raccoglie il cellulare della mamma, il rumore fa accorrere gente; un ragazzo italiano allontana l’aggressore. Dolore, impotenza, ma tanta amarezza anche perché il tutto si è svolto davanti agli occhi della bimba. Una bambina che a sei anni urlava aiuto perché qualcuno aiutasse la mamma e la difendesse da un’aggressione. Una bambina che ora sorride alla mamma ma dentro cosa sa vivendo? La mamma ha raccontato che per due giorni è stata rannicchiata in un angolo in casa. Già in passato si era messa rannicchiata in un angolo, quando in casa vedeva la mamma picchiata dal marito, il suo papà, che poi è stato arrestato.
Tutto questo è un caso che ha fatto ultimamente notizia. Ma questa donna è un bersaglio in movimento. Quanto durerà? A quando il prossimo insulto o la prossima aggressione? È normale che una bimba abbia paura che la mamma si allontani anche solo per portare via la spazzatura perché teme per la sua sorte?
Quali possibilità per questa donna? Affidarsi a una struttura di accoglienza o servizi sociali?
Questa donna, sola davanti a un muro di indifferenza chiede una sola cosa: un lavoro con cui avere la forza di autodeterminarsi, di mantenersi onestamente, di non perdersi e dare alle proprie figlie un futuro.

Ora, rifletto su questi due temi:

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